Marianna dei conti Guillonk era nata sotto il bel cielo d'Italia da
padre inglese e da madre napoletana. Perduti ancor fanciullina i
genitori, ed erede di una cospicua sostanza, era stata raccolta da lord James
suo zio, uno dei più intrepidi lupi di mare della flotta britannica, un vero
marinaio d'antica schiatta, ruvido, quasi direi brutale, incapace di provare
affezione per chicchessia e quindi incapace di provare affezione per l'orfana.
Questo lupo di mare, imbarazzato di trovarsi fra le braccia una
nepote, e non fidandosi d'altra parte d'abbandonarla a mani straniere, per
nulla disposto allora a piantar radici in terra, l'aveva per così dire rapita
dalle spiaggie napoletane portandola seco sui mari. Per più di sei
anni l'aveva abituata alla dura vita marinaresca, per più di sei anni l'avea
menata a ramingar pel mondo da un porto all'altro, da un'isola a
un'altra, da un continente a un altro, fino a che un bel dì, per un
inesplicabil capriccio, si era fermato a Labuan dove aveva piantato casa.
Una volta collocata la
fanciulla, datale per compagna una napoletana, l'aveva abbandonata
completamente a sé stessa, affaccendandosi a cacciare da mane a sera nelle
foreste dell'isola o a tentare spedizioni contro i pirati che si era
giurato di sterminare.
Mai che il lupo avesse rivolto
una dolce parola all'orfana, mai che avesse dimostrato per lei qualche affetto.
Si contentava di non contrariare i gusti di lei, pur sempre tenendola in certo
qual modo prigioniera fra quelle foreste, come fosse geloso che le fuggisse.
Marianna a tal modo era
cresciuta come una specie di selvaggia fra quei boschi, segregata dal mondo
civile, contraccambiando, nel fondo dell'anima, l'indifferenza del rozzo lupo
di mare.
Si era rinchiusa in quel piccolo
mondo cinto d'alberi e recinto di fiori che coltivava con passione, e benché
avesse per lungo tempo rimpianto le pittoresche rive del Tirreno, aveva
finito a poco a poco coll'abituarsi a quella vita austera, ma che non mancava
di poesia, coltivandosi da sé, in una maniera tutta sua.
Amava circondarsi di fiori perché
in certo qual modo le rammentavano quelli della sua patria, amava l'immensità
perché sapeva trovarvi la poesia del suo paese, amava il mare perché le ricordava
quello delle spiaggie napoletane, amava la musica perché le sembrava la voce
dei suoi compatrioti. Era cresciuta coraggiosa ed energica quanto dolce e
sensibile. Scorrazzava intrepida, quale Diana cacciatrice, le foreste,
affrontando arditamente il cignale, sfidando la tigre stessa che
ritiravasi dinanzi la canna dell'infallibile sua carabina, inseguendo
leggera come un capriolo il babirussa. Attraversava da sola tutte le foreste,
senza temere il selvaggio imboscato, pel solo scopo di spingersi fino al mare per
vederlo calmo o irritato e gorgheggiare sulle sue rive al tramontar del sole, o
per destare gli echi dei boschi col dolce suono della chitarra o della mandola,
o per guizzare come una naiade nelle baie, per nulla impaurita della presenza
dei pesci-cani.
presenza dei pesci-cani.
*
da Emilio Salgari, Le Tigri di Mompracem, 1900
(immagine: elaborazione da foto di John French)